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  • Immagine del redattoreSara Piccolo Paci

Il colore del colore...


Negli ultimi tempi mi sono occupata molto del colore e dei colori, non solo nel medioevo, come ci si potrebbe aspettare, ma sotto diversi punti di vista, tanto che da queste riflessioni ne sono uscite diverse conferenze e webinar (1).

Nella nostra vita quotidiana i colori sono molto presenti, anche in modo più simbolico di quello che pensiamo: “green movement”, “colletti bianchi”, “blacklives matter”, ma anche moltissimi titoli di film (“il colore viola”, “la lettera scarlatta”, “la pantera rosa”, ecc.), oppure termini generici che indicano un’appartenenza ideologica (“Bologna la Rossa”, la “bandiera arcobaleno”, ma anche i “libri gialli”) o i colori usati come indicazioni “di servizio” (“semaforo rosso”, farmacia “verde”, maschietto= celeste, femminuccia= rosa…))

Tra le domande che mi vengono rivolte più frequentemente nel mondo dei costumi, per rievocatori e ricostruttori, c’è sempre, immancabile, quella sui colori:

Ma i colori c’erano? E com’erano?

Tenendo fermo il fatto che i colori c’erano e ci sono sempre stati tutti – e poi vedremo meglio come e in che modo – ho pensato che sarebbe stato interessante fare un po' di chiarezza.


Innanzitutto, potremmo chiederci se esiste il “colore in quanto tale?

Apparentemente, ciascuno di noi sa cosa è il colore: ne facciamo esperienza comunemente e ogni giorno; vediamo migliaia di sfumature e di colori, nella realtà, attraverso la tecnologia, sul web, nell’arte, nel nostro abbigliamento…

Ma è davvero così? E, soprattutto, vediamo tutti gli stessi colori?


In realtà, il colore è una esperienza del tutto soggettiva, e anche se possiamo trovarci d’accordo genericamente, se andiamo ad investigare lo specifico, ciascuno di noi percepisce ogni colore in modo un poco diverso.

La scienza sta ancora discutendo, calibrando, analizzando, tentando di definire le molteplici proprietà della luce e delle sue rifrazioni, perché, in buona sostanza, questo è veramente il colore: la percezione del nostro occhio del fenomeno di rifrazione della luce sugli oggetti.

Poiché questa è una proprietà del nostro organismo, è individuale e genetica, tanto che esistono persone cui manca la capacità di percepire il colore e sappiamo anche che la maggioranza degli animali percepiscono i colori in modo diverso da noi.

Ad esempio, i pesci e gli uccelli vedono anche nella frequenza degli ultravioletti, mentre i cani, ad esempio, vedono il blu, il giallo e il bianco, ma confondono rosso, arancione, giallo e verde chiaro; i gatti vedono il blu-violetto, il giallo e il verde, ma non percepiscono il rosso.

Fin dall’antichità e in più parti del globo, l'umanità ha percepito i colori come valori relativi e non assoluti, la cui definizione non dipende da un’osservazione “scientifica” quanto emotiva.

La percezione dei colori, in effetti, è la combinazione di una casuale fisica – l’interazione tra lunghezza d’onda delle radiazioni e gli elettroni atomici – e una esperienza soggettiva, fisiologica, psicologia e culturale.

Questo ha portato a sviluppare una sorta di “linguaggio del colore”… che è però diverso da luogo a luogo e da tempo a tempo, tranne per alcuni valori che si possono definire intuitivamente “globali”.

In effetti, il colore è una costruzione culturale, ed anche quando l’associazione di idee e colori può sembrare “naturale”, in realtà stiamo già operando scelte che dipendono da molti fattori e solo parzialmente sono frutto di una osservazione obiettiva.

Le combinazioni cromatiche possono essere simili ma anche del tutto differenti in culture diverse, perché sono il risultato di stratificazioni culturali, variabili da popolo a popolo.

Prendiamo il rosso, ad esempio. Rosso = SANGUE = VITA, ma anche rosso = FUOCO = VALORE MILITARE ( E MORTE), rosso = AMORE romantico (e PASSIONE), FUOCO = è “ARIA VIVA” quindi SPIRITO e quindi colore della parola di Dio…

E poi, di quale "rosso" stiamo parlando?

Il porpora antico afferisce ai rossi, ma la stessa produzione poteva avere molte sfumature diverse: con il passare del tempo il termine “porpora” ha acquistato diversi significati, passando dal color fegato imperiale al rosso fuoco, al viola.

Questo si riflette anche nei termini che usiamo per descrivere i colori, termini che cambiano nel tempo e nello spazio ed, infatti, la traduzione dei termini legati al colore è molto difficile: ad esempio, il colore che in lingua ebraica è definito “brillante” o “luminoso” in latino può diventare “ruber” ma anche “candidus”, per non parlare dei tanti termini medievali che indicano colori - cagnazzo, tanè, cilestrino, pavonazzo... - e di cui noi abbiamo vagamente qualche idea (di solito sbagliata :-)

Perfino le classificazioni di colore come le intendiamo oggi sono frutto di un’evoluzione culturale che ha raggiunto un certo grado di codificazione solo dopo il XVII secolo, proseguendo ed ampliandosi poi con le scoperte scientifiche del XVIII e XIX secolo.


Inoltre, la storia del colore pittorico è solo una parte della storia dei colori, anche se non minore.

Il primo pigmento vero di cui siamo a conoscenza risale a ca. 35.000 anni fa (nero dalla cenere del fuoco). Nel corso dei secoli l’umanità ha trovato il modo di creare sostanze coloranti usando la materia della natura, ma anche sviluppando l’arte della trasformazione (ovvero, la chimica, vedi gli innumerevoli alchimisti e apotecari che costellano il nostro immaginario medievale), scoprendo altre tinte.

Già nel Neolitico (10.000-3500 ACE) si usavano pigmenti per tessuti come il guado (blu), la robbia (rossi), la ginestra (giallo) e l’uva ursina (grigio, bruno, nero).

I pigmenti e il loro uso hanno certamente conosciuto un vero mercato fin dall’antichità, diventando, nel corso del medioevo, sempre più specializzati e complessi, dando occasione a mercanti e tintori di accumulare ricchezze.

E' nota la storia di Giovanni Rucellai, mercante di panni di lana, sponsor della facciata di Santa Maria Novella, la cui famiglia deve il cognome alla pianta dell’oricello (lichene, Isole Baleari) di cui un antenato (Alamanno Oricellario, XII sec.) ebbe a scoprire le proprietà tintorie, che (precipitando con ammoniaca) conferivano un forte colore rosso/violaceo.


Assieme alle spezie ed ai tessuti pregiati proprio le sostanze tintorie estratte da materie naturali sono sempre state uno dei business migliori, almeno fino al XIX secolo quando iniziarono ad essere prodotti i primi coloranti sintetici. La produzione di alcuni coloranti o il processo stesso di lavorazione, implicava investimenti da fare e profitti notevoli.


Le leggi suntuarie sono un’espressione anche del cambiamento che andava avvenendo tra XII e XVII secolo nella percezione dei colori – e questi sono anche i secoli in cui si cominciano a cercare materie tintorie alternative, importate, colori sperimentali e/o più stabili nei tessuti.

Come sempre accade nella moda, si cerca sempre di avere il massimo profitto con il minimo investimento, ma anche di trovare soluzione alternative a quelle più costose. I viaggi alla ricerca di nuove rotte commerciali, in questo senso diventano molto più comprensibili.


Il colore rosso, ad esempio, poteva essere ottenuto con il Murex (gasteropodi marine) sulle quali si fondò buona parte della fortuna degli antichi Fenici; ma con il passare del tempo e nuove scoperte, si diffusero altri metodi, o meno costosi o provenienti da altre zone, come, ad esempio, la robbia, l’oricello, il cartamo (o zafferanone, che veniva coltivato), il kermes (insetti, di cui ne occorrevano ca. 80 per un solo grammo di tintura ‘scarlatto’), la robinia (acacia) e poi, con la scoperta del Nuovo Mondo, altre varianti, incluso la cocciniglia (insetti, stessa famiglia del Kermes) e il Legno Brasiliano (Caesalpinia Echinata, simile al Legno del Brasile/verzino, che però già era importato dalle Indie Caesalpinia Sappan)…


Come nel caso dell’abbigliamento, anche il colore esprime un vero e proprio sistema di comunicazione in base alla società che lo produce e lo utilizza.

I colori hanno sempre avuto una grande importanza. La differenza più immediata non è nella varietà, poiché tutti gli strati sociali si potevano permettere nuances anche molto fantasiose, ma nella brillantezza.

Ciò significa che un colore è costoso quando è ricco, vivido, pieno e resistente, mentre è più a buon mercato e popolare se si scolorisce facilmente e ha un aspetto un po’ sbiadito…

Ciò non significa affatto che non potessero esserci tinte anche molto vivaci, ma nei limiti di una produzione basata sui coloranti naturali e quelli più efficaci erano anche i più costosi.


Ricordiamoci anche che, ieri come oggi, non esiste percezione univoca del colore, né tantomeno realistica: si tratta piuttosto di un approccio ideologico che può o no combaciare con l’osservazione del reale, ma non si basa su di esso.

Ne sono un esempio i colori rosa e celeste, che cambiano di “genere” a seconda dei tempi…

Nel medioevo, sia gli uomini come le donne vestono sia in rosa che in azzurro; anzi, più spesso sono gli uomini a vestire di rosa (variante del rosso, colore virile), mentre il celeste e gli azzurri sono considerati colori “femminili” (pensate al manto della Vergine).

Però non mancano eccezioni, dove prevalgono altre simbologie: la sposa veste spesso di rosso, ad esempio, e in questo caso la simbologia a cui si fa riferimento è quella del 'sangue' e della 'fertilità'.

Con il passare del tempo, la fluttuazione dei colori farà sì che il rosa diventa lentamente colore femminile (la rosa, per eccellenza), mentre i blu, azzurri e celesti si spostano verso sensibilità maschili.

Sembrerà strano, ma oggi siamo molto più categorici nell’attribuire una valenza univoca ad un colore, tanto che i giocattoli “per bambine” sono spesso ROSA mentre quelli “per bambini” hanno colori dal CELESTE al BLUE, questa rigidità nell'offerta del mercato e nella nostra scelta di acquisto dovrebbe farci riflettere su quanto siamo diventati "rigidi" noi, nel nostro percepire la vita, oltre che il colore.


Oltre a questi aspetti sul colore potremmo anche guardare se il "colore" attraversa intatto il tempo (no :-)) e su quante volte ci siamo ingannati nel pensare al passato leggendolo alla luce dei colori - degradati - che sono giunti a noi.

Giusto per capirsi: il "medioevo in bianco e nero" è certamente più il frutto delle erronee convinzioni sull'architettura medievale che si aveva tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, piuttosto che la realtà della presenza del colore nelle chiese medievali. Così come la moda "in bianco" del periodo Impero è il frutto dell'ispirazione alle statue greche così come erano giunte dopo duemila anni di esposizione agli elementi naturali (che le avevano ovviamente decolorate), mentre oggi sappiamo che gli antichi Greci erano soliti colorare le statue in modo che imitassero la realtà.


E, alla fine di questo excursus cosa pensiamo, adesso, dei colori?

Vale la pena sostenere mode, ideologie, convinzioni, basandoci sul labilissimo potere dei colori?

Per quelli di noi che vedono solo «in bianco o nero» o che non sanno apprezzare le differenze dell’arcobaleno, vale la pena ricordare che i colori hanno una STORIA, e sono mezzi con cui si esprimono PREGIUDIZI e TABÙ di cui spesso non siamo del tutto consapevoli.


La storia dei colori intreccia arte, politica, religione, psicologia, sociologia ed è espressione dell’evoluzione e delle ambivalenze delle nostre società e della nostra mentalità…. Oggi poi, è tristemente comune vedere come siamo bravi a dividere il mondo in bianco e nero, quando non ci rendiamo conto di quanto sia bello un paesaggio naturale, dove ogni centimetro di spazio è fatto di una sfumatura di colore differente... ma non sarà che siamo noi ad avere un difetto di vista che ci pervade il cervello?

Facciamo più attenzione al modo con cui PENSIAMO i colori, e forse anche il mondo attorno a noi diventerà più accogliente!



(1) Se siete interessati, trovate gli appuntamenti passati sul mio canale Youtube Sara Paci Piccolo, tra cui Parliamo di - I colori di Maddalena; Parliamo di - Rosa, Celeste e Arcobaleno. A breve "Madonna che colori c'è stasera, su www.twitch.tv/gonfalonedeldrago


Per approfondire:

F. Borlando, Il commercio del guado nel Medioevo, Torino, 1959

G. Rebora, Un manuale di Tintura del Quattrocento, Milano 1970

F. Brunello, The Art of Dyeing in the History of Mankind, Neri Pozza, Vicenza 1973

M. Brusatin, Storia dei Colori, PBE, Torino 1983

M. Pastoreau, D. Simmonet, Il piccolo libro dei colori, Ponte alle Grazie, Firenze 2006

M. Pastoreau, Blu. Storia di un colore, Ponte alle Grazie, Firenze 2008

M. Pastoreau, Figure dell’araldica Dai campi di battaglia del XII secolo ai simboli della società contemporanea

S. Paci Piccolo, Storia delle Vesti Liturgiche, Ancora, Milano 2008, cap. VI I Colori, pp.209-246

F. Franceschi, Il ruolo dell’allume nella manifattura tessile toscana dei secoli XIV-XV, 2014 https://journals.openedition.org/mefrm/1582

K. St.Clair, Atlante sentimentale dei colori: da amaranto a zafferano, 2018

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